Posti magici da fiaba italiana

Che magia per un bambino poter entrare nel vivo delle favole, è un’esperienza unica! Anche per un adulto non è meno affascinate esplorare i luoghi da dove hanno origine le leggende; farà entrare i luoghi nel cuore e nella mente. Provate per credere! 
L’Italia è un posto assai ricco di racconti e di folklore, lo sanno bene soprattutto gli abitanti dei luoghi lontano dal turismo di massa che tramandano ancora miti e leggende della tradizione a voce. 
Seguitemi, ho selezionato alcune delle più più belle leggende divise per regioni; ce n'è per tutti: Nord, Sud e Isole.


Marche

La grotta dell’infinito (o grotta della capra) - Badia di San Vittore
Si narra che nelle Marche, presso la Badia di San Vittore, vivevano due giovani molto innamorati. Nonostante li unisse un grande amore, le rispettive famiglie, piene di una da profonda ostilità, impedirono con ogni mezzo il loro matrimonio. 
I due giovani, disperati per questa situazione senza possibile soluzione, abbandonarono le abitazioni e fuggirono sul Monte della Valle per rimanere nella selva buia. Cauti e prudenti vagarono nel bosco il giorno e la notte successiva scoprirono una grotta con un grande masso all’ingresso e sembrava che tutta la valle palpitasse di allegria per la loro felicità. Sarebbero rimasti in questo luogo segreto per lungo tempo, con i loro bambini, fra le ginestre e il gregge, fino a che i genitori non avessero trovato un accordo e una riconciliazione. 
Una sera, al ritorno nella grotta, la giovane venne colpita da un maleficio che la trasformò in una capra. Sgomenta, decise di non poter condividere con l’amato il peso di questa sventura e così si avvicinò a lui, addormentato, sussurrandogli il suo addio. Ma il belato di una capra non poteva essere interpretato da un uomo, e da quel momento sparì, per sempre.
Il giovane, esterrefatto, ricercò la propria amata per tre giorni e per tre notti fino a che l'invase la più triste amarezza e non potendosi dare pace per l'accaduto si adirò, stava impazzendo e infuriato bruciò la selva fino a che si fermò presso l'antro battendo le tempie sulla pietra. 
Anche lui fu colpito da un sortilegio: cambiò colore e divenne un masso disposto a guardia della grotta. Nell'aria maligna, pesante come una maledizione, sibilò il vento, sogghignarono le forze del male. 
In quel medesimo luogo, ogni sera, quando il sole discende dietro i monti e la valle si addormenta, una capra esce dalla fenditura e un grido lacera l'aria facendo tremare i pioppi del fiume e le querce della montagna. Sono i due giovani che si cercano in continuazione.
Non sappiamo se mai il sortilegio si scioglierà.

Link utili sulle leggende marchigiane


Sicilia
La leggenda della Fata Morgana - Stretto di Messina
La leggenda narra che, nelle giornate di cielo sereno, Fata Morgana si affacci dalle acque dello Stretto di Messina e faccia rimbalzare tre sassi sulla distesa azzurra, facendo apparire figure di palazzi e foreste.
Il mito la vuole incantevole maga, abile a stupire i siciliani facendo apparire immagini illusorie sul mare. Il fenomeno visivo che si verifica, in particolari condizioni atmosferiche è un’illusione ottica dovuta ad un’inversione di temperatura negli strati bassi dell’atmosfera. Questi a contatto con il mare nelle prime ore del mattino, quando il cielo è più terso, per la diversa densità dell’aria formano le immagini della città costiera riflesse e persino moltiplicate dal mare, trasformato in un immenso specchio spettacolare.
Nonostante le cause scientifiche del fenomeno, in Calabria e Sicilia la magica città sulle acque, unica al mondo perché visibile da due diverse sponde, Reggio e Messina, è tramandata da secoli come il castello della Fata Morgana, ossia la sorella del bretone re Artù, che si innamorò della Sicilia al punto di stabilire nelle acque dello Stretto la sua residenza.
Vittima di questa magia, secondo le leggende isolane, fu un re dei barbari sulla via della conquista della Penisola. Si racconta che il barbaro, arrivato a Reggio Calabria, progettasse l’invasione della vicina Sicilia ma non possedesse imbarcazioni per raggiungere la terra bramata. Ad offrirgli un ingannevole aiuto fu proprio Morgana, che con un cenno disegnò la costa siciliana a due passi dalla costa reggina dove si trovava il re dei barbari. Questi, pensando ad una facile conquista, si lanciò verso le case e le spiagge assolate che vedeva vicinissime e affogò.
Andò meglio a Ruggero il Normanno, il sovrano era stato scelto dai siciliani per prendere il comando della guerra che avrebbe sciolto l’isola dall’egemonia degli arabi, che ne avevano fatto una terra musulmana. Ruggero aveva accettato l’impresa, ma non disponeva di un esercito abbastanza numeroso. Anche stavolta Morgana volle mettere lo zampino e guidare lo straniero, materializzando sullo Stretto, un esercito invincibile e un cocchio pronto a traghettare Ruggero in Sicilia. Il normanno, però, rifiutò l’offerta perché voleva liberare l’isola con il solo aiuto del Dio cristiano a cui si affidava. L’epilogo della fiaba è nei libri di storia. Nel 1061 Ruggero sbarcò a Messina e iniziò la decennale guerra contro gli Arabi, liberando la Sicilia e facendone una prosperosa terra.
Vai ad osservare anche tu questa bella leggenda reale!

Link utili sulle leggende siciliane


Umbria
La leggenda dei monti sibillini - Tra Marche e Umbria, Montemonaco e Arquata del Tronto.
La grotta della Sibilla, detta anche grotta delle Fate, è una caverna ricavata nella roccia e raggiungibile solo a piedi. Si trova a 2150 m nei pressi della vetta del monte Sibilla raggiungibile dal territorio dei comuni di Montemonaco e Arquata del Tronto.
L'area protetta che tutela il massiccio dei Monti Sibillini si estende tra le regioni Marche e Umbria ed è il Il Parco Nazionale dei Monti Sibillini.
Fin dal Medioevo si racconta che la grotta della Sibilla, detta anche grotta delle Fate, era il punto d’accesso al regno sotterraneo della regina Sibilla, un’antica sacerdotessa in grado di predire il futuro.
Da tutta Europa negromanti e cavalieri erranti, facessero viaggi estenuanti nella speranza di carpire un suo oracolo.
La Sibilla Appenninica era una fata buona, veggente e incantatrice, detentrice della conoscenza, conoscitrice dell’astronomia e della medicina, che elargiva responsi profetici con un linguaggio non sempre facile da interpretare. La Sapientissima Sacerdotessa Sibilla era circondata da Ancelle (le Fate della Sibilla) che vivevano con lei all’interno della Grotta. Le fate sibilline erano affascinanti creature, che uscivano prevalentemente la notte e dovevano ritirarsi in montagna prima del sorgere delle luci dell’aurora per non essere escluse dal regno incantato della Sibilla.
Esse si muovevano tra il lago di Pilato ed i paesi di Foce, Montemonaco, Montegallo, tra il Pian Grande, il Pian Piccolo ed il Pian Perduto di Castelluccio di Norcia e Pretare.
Le fate sibilline avevano contatti con il mondo che le circondava: si recavano a valle non solo per insegnare alle giovani la filatura e la tessitura delle lane, ma anche per incontrare i giovani pastori. Le fate dovevano stare ben attente a non mostrare le loro fattezze caprine e per questo portavano gonne lunghissime.
Nelle notti di plenilunio amavano danzare e appropriandosi segretamente dei cavalli dei residenti, raggiungevano i paesi vicini per ballare con i giovani del luogo.
Secondo una versione della fiaba i giovani pastori, una volta entrati in contatto con le fate, sarebbero stati sottratti al loro mondo divenendo immortali, costretti a rifugiarsi nelle viscere della montagna ed entrare a far parte del mondo invisibile, così come succedeva alle fate, rimanevano in vita fino alla fine del mondo, ma erano costretti a vivere nella grotta, nel modo della notte, con le fate e la sacerdotessa.
La leggenda sostiene che caratteristica del piede caprino è diffusa nei racconti di tutta la zona dei Sibillini, forse perché il piede così fatto avrebbe offerto una migliore presa sulle scoscese e ghiaiose pareti.
Alcuni dicono che le fate ci siano ancora adesso sui monti Sibillini. 
Prova a scoprirlo anche tu!

Link sulle leggende dei monti sibillini


Friuli
La leggenda della Buca del Mare - Rosazzo
La Buca del Mare è una voragine che si trova a Rosazzo, un paese a una decina di chilometri da Cividale.
Si racconta che tanti anni fa l’Orcul, un orco molto presente nelle leggende friulane, passava per il Bosco Romagno di Rosazzo. Lì vicino viveva un famoso avaro, che per racimolare qualche soldo in più avrebbe fatto qualsiasi cosa. Quando questi vide l'Orcul gli disse: “Se mi farai guadagnare sono disposto a darti in sposa la mia bellissima figlia”.
L'Orcul accettò e gli confidò che in uno spiazzo tra gli alberi della foresta era nascosto un tesoro favoloso. “Io mi metto a scavare e recupero l'oro che c’è. Tu però vai subito a prendere tua figlia. Quando scoccherà la mezzanotte io avrò fatto tutto e voi dovrete essere qui”. E subito si mise all'opera. Dopo poche ore il buco arrivò all'inferno dove si trovava il tesoro. L'Orcul lo portò in superficie e si sedette ad aspettare l'avaro e sua figlia.
Però la figlia dell’avaro si rifiutava di sposare quell'essere dall'aspetto mostruoso. Allora la mamma chiese aiuto alla fate buone del Colle di San Biagio, che lei aveva più volte aiutato a sbrigare delle faccende, le quali approfittando del buio riuscirono a far fuggire la giovane senza che il padre se ne accorgesse.
L'avaro raggiunse l'Orcul nella radura e notò immediatamente il sacco traboccante di monete d'oro. Ma proprio mentre i due stavano caricando il tesoro sul carro si accorsero che la ragazza era scomparsa. Allora l'Orcul infuriato si girò infuriato verso l’avaro e,tra una spinta e l’altra, i due caddero nella voragine appena scavata insieme al carro e al tesoro.
Ancora oggi gli abitanti della zona sentono uscire da quella buca le urla dei due contendenti e il rumore di tintinnanti monete d'oro. Succede solo nelle sere d'inverno, intorno a mezzanotte.
Vuoi sentirlo anche tu?

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Puglia
La leggenda dei due innamorati - Leuca
Non tutti sanno che a Leuca, meravigliosa cittadina pugliese, è legata una leggenda struggente ed appassionante. La storia risale al tempo dei Messapi, quando sul promontorio della città di Veretum c’era un tempio dedicato alla dea Minerva.
Si narra che il punto d’incontro dei due mari Jonio e Adriatico fosse dominato da Leucàsia, una bellissima creatura tutta bianca metà donna e metà pesce in grado di attirare con il suo canto divino ogni creatura. Un giorno Leucàsia notò un giovane pastorello e tentò di ammaliarlo con la sua voce e con la sua bellezza. Il giovane Melisso, innamorato della sua ragazza Aristula, rifiutò senza alcuna fatica la bella sirena. Così Leucàsia incredula ed offesa mise in atto una terribile vendetta.
Un giorno sorprese sulla scogliera i due giovani innamorati stretti in un abbraccio. Alla vista di quell’abbraccio pieno di sentimento alzò con la sua coda e con il suo fiato un vento tanto forte da separare i ragazzi e trascinarli via facendoli sbattere violentemente sugli scogli. Separò i loro corpi sulle due punte opposte del golfo, in modo che nessuno potesse più unirli.
La dea Minerva, che dal suo tempio aveva osservato la sciagura che Leucàsia aveva provocato, impietosita trasformò i corpi di Melisso e Arìstula in pietra, come simbolo di eternità. Da allora la punta Meliso e la punta Ristola non potendosi più abbracciare, abbracciano lo specchio di mare. Anche Leucàsia fu pietrificata e si trasformò nella famosa e bianca città di Leuca, da cui prende il nome.
Vai a vedere con i tuoi occhi come la leggenda vive ancora!

Alcuni link:


Trentino Alto-Adige 
La leggenda della ninfa del Lago di Carezza - Dolomiti
Esiste un lago tra i monti delle Dolomiti che chiamano il “lago dell’arcobaleno”. E’ il lago di Carezza, a 25 km da Bolzano, nell’alta val d’Ega. Un meraviglioso specchio d’acqua in cui troviamo tutti i colori dell’iride. Sapete perché? 
La leggenda narra che tanto tanto tempo fa viveva nel lago di Carezza una bellissima Ondina che spesso si sedeva sulla riva a cantare bellissime canzoni. Era però molto schiva e quando sentiva avvicinarsi qualcuno scappava rituffandosi nell’acqua.
Nel grande bosco che dal lago sale su fino alle cime del Latemàr abitava uno Stregone. Un giorno lo Stregone passando vicino al lago vide la ninfa cantare su una roccia e fu così colpito dalla sua splendida voce e dalla sua bellezza che decise di rapirla. Quando però cercava di avvicinarsi per prenderla, lei scappava nelle remote profondità dell’acqua. Questo sfuggente contatto lo faceva infuriare e lo stregone scatenava terribili temporali e scagliava fulmini nel lago di Carezza. Ma l’Ondina, al sicuro sul fondo del lago, rideva di lui.
Lo Stregone capì che così non sarebbe mai riuscito ad avvicinarla e decise di usare i suoi poteri magici. Si trasformò in lontra e, quando la ninfa iniziò a cantare sulle sponde, si avvicinò nuotando alla riva deciso a catturarla. Gli uccelli però, che ogni giorno si radunavano sui rami vicino all’Ondina per sentirla cantare, si accorsero del pericolo imminente e iniziarono a cinguettare e volare disordinatamente fino a quando l’Ondina capì che c’era in agguato un pericoloso predatore e con un salto si tuffò nel lago.
Lo Stregone furioso voleva scatenare la sua rabbia contro gli uccelli e sradicare gli alberi, ma così avrebbe perso per sempre l’opportunità di rapire la bella Ondina. Decise dunque di salire sul Vajolòn, il Catinaccio, per consultare una Stria del Masarè che abitava lassù. La strega rise molto di questo stregone incapace e lo prese in giro, ma decise di dargli un consiglio.
“La ninfa, gli disse, non ha mai visto l’arcobaleno. Tu creane uno, il più bello mai visto, che abbia un’estremità sulle cime del Latemàr e una nel lago. Appena la ninfa lo vedrà, uscirà dall’acqua per ammirarlo. Tu ti trasformati in un mercante, con una bella barba bianca e un sacco pieno di oggetti d’oro e pietre preziose. Con passo fermo e tranquillo avvicinati all’arcobaleno ed esclama “Oh gurda! Questo è quel tessuto con cui si fanno i gioielli d’aria che mi hanno chiesto le principesse!” Taglia un pezzo di arcobaleno e mettilo nella borsa da cui farai cadere l’oro e le pietre. La ninfa si avvicinerà e vorrà parlare con te di questo prodigio. Invitala a seguirti nella tua casa piena di ricchezze e meraviglie e sarà tua!”
Lo Stregone fu subito entusiasta del piano e quello stesso giorno costruì l’arcobaleno più bello che si fosse mai visto, facendolo arrivare nel lago di Carezza. Non appena Ondina vide quei meravigliosi colori uscì dall’acqua e si avvicinò all’arcobaleno. Lo stregone, sicuro che ormai fosse fatta, iniziò a correre giù dalla montagna, ma nella foga dimenticò di trasformarsi nell’innocuo mercante di gioielli. Appena la ninfa lo vide lo riconobbe subito e con un salto si inabissò nel lago.
Lo Stregone fu tanto preso da una tale furia che sradicò gli alberi, scagliò pietre e macigni nel lago e alla fine prese l’arcobaleno lo straccio in mille pezzi e lo gettò nell’acqua. Poi tornò sulla sua montagna e non si fece mai più vedere.
Intanto però i colori dell’arcobaleno si erano sciolti sulla superficie dell’acqua e lì sono rimasti fino ad oggi. 
Ecco perché il lago di Carezza ha tutti i più bei colori dell’arcobaleno.
Incantevole visione. Curiosi?

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Abruzzo
La leggenda della Majella - Maiella
La leggenda narra che che Maja, donna gigantesca, fuggita dalla Frigia, per portare in salvo il suo unico figlio Ermes, il più bello dei Titani, caduto in battaglia sul campo di Flegra, approdò, con una nave malandata, al porto di Ortona.
Di qui, si rifugiò tra le selve e i dirupi delle montagne d'Abruzzo per il timore di essere raggiunta dai nemici e, soprattutto, per curare amorevolmente il suo unico figlio.
La montagna era, infatti, ricca di erbe speciali, medicamentose; ma la neve la ricopriva integralmente, ed ogni suo tentativo fu inutile. Maja non riuscì a curare il suo amato figlio che poco dopo morì.
Per vari giorni pianse disperatamente accanto al corpo del figlio e, successivamente, lo seppellì su una vetta del monte, dove ancora oggi, chiunque osservi da levante, può riconoscere nel profilo della catena montuosa il "Gigante che dorme".
Dopo la morte del gigante, Maia non ebbe più pace. Sconvolta, in preda alla disperazione, cominciò a vagare sui monti e neanche i suoi congiunti più cari riuscirono a frenarne il pianto disperato. Poi vagò a lungo per le montagne in preda all'angoscia e scossa da un pianto irrefrenabile.
Affranta e prostrata, esalò l'ultimo respiro proprio sulla montagna. I parenti della dea, con cortei imponenti, raggiunsero Maia portando vesti ricche di ori e di gemme, ghirlande di fiori e di erbe aromatiche, vasi d’oro e d’argento, e, dopo averla adornata con i loro preziosissimi doni, la seppellirono sulla maestosa montagna di fronte al Gran Sasso, che, da quel giorno, in sua memoria, fu chiamata Maiella.
La montagna, la Majella, prese così la forma di una donna impietrita dal dolore, con lo sguardo fisso al mare, i gomiti tra le ginocchia, e la testa avvolta in funebri bende tra le mani. Maja oggi singhiozza ancora.
Ancor oggi i pastori odono i suoi lamenti nelle giornate di vento quando i boschi e i valloni riproducono il lamento di una Madre triste.
Per le genti d'Abruzzo la Majella è la Madre, il simbolo della terra d'Abruzzo, della fertilità della terra. Essa è diventata il simbolo della terra d’Abruzzo.
Guarda con i tuoi occhi come la leggenda sia vera.

Alcuni link da vedere

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by Rossana #evengoanchio